Mercoledì, 29 Marzo 2006 12:43

Edizione 2005 – La tesi di master di Gabriela Pratolongo

Scritto da  Gerardo

Logo del Centro Internazionale per lo Studio del Religioso ContemporaneoPERCEZIONE DEL RUOLO DELLA RELIGIONE NELLE PROBLEMATICHE RELATIVE ALL’IMMIGRAZIONE

Nel seguito, puoi leggere l’abstract della tesi della dott.ssa Gabriela Pratolongo
I sistemi della informazione di massa sempre più includono il dato della confessione religiosa tra i tratti connotanti l’immigrazione extraeuropea. Lo stereotipo dello “straniero” sembra oggi poggiare in modo significativo sull’identità religiosa, divenuta una tautologica spiegazione di atteggiamenti e attese di relazione tra persone e popolazioni. Ma questa visione delle cose è davvero condivisa dalle persone, nella propria esperienza diretta di contatto con gli immigrati? Si fa davvero ricorso alla dimensione religiosa per rapportarsi agli stranieri con cui si entra in relazione? Il circolo vizioso dell’ovvio è davvero dominante quando si parla di esperienze concrete?
Per iniziare a verificare la situazione nel mondo reale, al di fuori dell’orizzonte tracciato dai media, è stato realizzato un primo approccio di ricerca sul campo, attraverso una serie di interviste personali ad un piccolo campione di cittadini italiani (31 interviste realizzate a Novembre-Dicembre 2005, bilanciate tra uomini e donne, tra i 19 e i 64 anni con una media di 44 anni, livello di scolarità elevata, residenti nel Nord e Centro Italia).
I risultati della ricerca mostrano, in estrema sintesi, che l’aspetto religioso non è così centrale da determinare o condizionare la relazione con lo straniero. La dimensione religiosa si combina semmai con molte altre caratteristiche - quali la capacità e la volontà di comunicare, l’integrazione non esclusiva in una comunità, l’integrazione nel mondo del lavoro, l’atteggiamento verso le donne, il rispetto per i bambini e per i soggetti deboli, il rispetto per la cosa pubblica… - nel creare l’immagine di persone culturalmente, eticamente e umanamente compatibili con cui è possibile prevedere una vita comune, con valori e modalità di vita anche differenti e peculiari ma condivisibili o reciprocamente tollerabili.
Ciò non significa che la religione non conti, bensì che la sua importanza sia relativa, ovvero la religione ha significato per il suo valore culturale più che per il suo potere identitario (emotivo, normativo e trascendente). Nel vissuto proprio delle persone intervistate la dimensione religiosa compare come uno spazio intimo e poco normato, una dimensione spirituale con un valore psicologico e umano indiscutibile, un sentimento universalistico. Gli aspetti esteriori, le ricadute sul piano sociale, i contenuti dogmatici del religioso sono invece concepiti come costrutti culturali. Questo aspetto “pubblico” del religioso, in quanto fatto culturale, è considerato in termini più razionali che emotivi. Ciò crea negli intervistati un atteggiamento di apertura e tolleranza, una buona disposizione verso il pluralismo religioso. Ma se questo atteggiamento appare positivo sul piano della concertazione sociale, in una prospettiva laica e razionale, al contempo crea una difficoltà di comprensione degli atteggiamenti più profondamente e tradizionalmente religiosi, laddove la confessione religiosa rappresenta veramente un asse identitario forte e refrattario a forme di compromesso e relativizzazione. La linea di frattura appare perciò collocarsi tra chi considera la religione come un universale che si determina storicamente in forme peculiari e transeunti, e chi vive l’identità religiosa come un elemento centrale, profondo e inalienabile di sé. Non sono tanto i contenuti, le forme, la dogmatica delle confessioni a creare distanza o rischio di incomprensione, quanto invece l’esperienza vissuta della dimensione religiosa.
Nel campione intervistato, tra le paure che emergono in merito all’immigrazione, al di là di questioni pragmatiche immediate come la buona convivenza e il buon vicinato, compaiono il senso di esclusione, il timore di una società costituita da gruppi chiusi e non comunicanti, ma soprattutto l’oscurantismo e la regressione verso posizioni fondamentaliste - a qualsiasi religione, ideologia o cultura facciano capo, sia per azione che per reazione, dando luogo a un circolo vizioso di chiusura reciproca.
Molte sono le speranze che accompagnano il fenomeno migratorio, sotto il profilo umano, economico, sociale e culturale, nell’ottica di un reale scambio e di una capacità di integrazione ed evoluzione comune, dove siano possibili il confronto, la differenza, le sintesi.
Nel complesso di timori e speranze relativi all’immigrazione la dimensione religiosa compare non in quanto tale, ma come espressione culturale e possibile veicolo di atteggiamenti di tolleranza e comprensione o di chiusura ed esclusione. Questa concezione, critica e relativista, può costituire la base di una pratica di tolleranza, ma nel contempo rende difficile una comprensione empatica di un vissuto più tradizionale e fideistico del religioso.


Abstract della tesi di master in Esperto di informazione religiosa nel pluralismo contemporaneo
Università degli Studi di Siena, anno accademico 2004-2005.
Relatore: Prof. Arnaldo Nesti
Candidata: Gabriela Pratolongo (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.>Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.).
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